PIETRO FORTUNATO CALVI
Nasce a Briana, frazione di Noale, allora in provincia di Padova, il 17 febbraio 1817 da Federico Pietro, commissario distrettuale, e da Angela Meneghetti. Frequenta il ginnasio Santo Stefano di Padova (abitando al numero 5 di via Citolo da Perugia, allora via del Bersaglio); quindi passa alla Accademia militare degli ingegneri di Wiener Neustadt. Non ancora ventenne ne esce con il grado di "Alfiere" (sottotenente), diventando l'orgoglio del padre, fedelissimo funzionario del Regio Imperial Governo.
Durante un periodo di ferma a Venezia matura la decisione di abbracciare la causa nazionale. Nell'aprile del '48, già passato al grado di primo tenente, presenta al suo colonnello regolari dimissioni, e lascia Graz, dove si trova di stanza con il 13 o Reggimento Wimpfen. Raggiunge Venezia, risorta a libera repubblica. Da Manin viene inviato nel Cadore con il grado di capitano. Qui comanda quattromilaseicento volontari, organizzati in cinque "corpi franchi", fiancheggiati da guardie civiche e montanari capaci di azionare' 'batterie di sassi".
Con audacia e strategia militare riesce a respingere le colonne austriache lungo le valli del Boite in ripetuti scontri. Memorabile la sconfitta subita dagli Austriaci a Rivalgo dove i cadorini, da soli, con appena quattrocento fucili e con le "batterie di sassi" fanno indietreggiare ben ottomila uomini. Il 15 giugno Calvi, giudicata vana ogni resistenza, congeda i volontari, e dopo un'odissea di avventure arriva alla fine del mese a Briana per l'ultimo abbraccio all'anziana madre. Raggiunta Venezia, è nominato comandante della legione "Cacciatori delle Alpi". In questo periodo incontra Roberto Marin. Il giovane patriota padovano lo vede, anche per la differenza di età, come un fratello maggiore da imitare: nasce un'amicizia indistruttibile.
Partecipa alla sortita di Mestre, alle battaglie di Brondolo e Treporti. Caduta Venezia (26 agosto 1849) ripara in Grecia. Nel Marzo del ,50 è a Torino e si lega ai circoli mazziniani. Tre anni dopo, minacciato di
espulsione dal Piemonte (per aver partecipato alla sfortunata insurrezione di Milano del 26 febbraio 1853) si rifugia in Svizzera.
Incaricato da Mazzini di sollevare il Cadore e il Friuli, varca la frontiera, ma viene catturato a Cogolo in Val di Sole (distretto di Malè) il 17 settembre del '53 assieme a Luigi Morati, Oreste Fontana, Roberto Marin.
Dopo il lunghissimo crudele iter processuale, viene condannato all'impiccagione. Nelle sue lettere (come pure appare dal libro "Il confortatorio di Mantova" di Mons. Luigi Martini), alla stregua dell'eroe bresciano Tito Speri, afferma con indubitabile sincerità la sua fede nell'immortalità dell'anima. Ostinato per oltre tre mesi a non chiedere la grazia all'imperatore, termina con una morte serena e orgogliosa, ultimo degli undici martiri di Belfiore. L'esecuzione avviene il mattino del 5 luglio 1855, a Mantova, sulla spianata del Frassine, nei pressi del castello di San Giorgio.Nello stesso giorno il padre si reca come al solito al suo ufficio; e quando gli giungono i vestiti e gli oggetti appartenenti al figlio, li respinge.
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